L’inizio della primavera nel Trapanese è segnato da una festività molto sentita in diversi centri della provincia: la festa di San Giuseppe.
Sicuramente la ricorrenza più importante per la comunità di Marettimo, la più lontana delle isole Egadi, dove ogni anno, per il 19 marzo, vengono organizzate diverse iniziative in onore del patrono.
L’appuntamento religioso fa da richiamo a tantissimi visitatori, oltre che ai marettimari sparsi un po’ ovunque nel mondo che tornano nella loro isola per i festeggiamenti.
In molti casi anche direttamente dall’America, da Monteray per l’esattezza, dove vivono molti egadini emigrati tanti anni addietro in California.
Tant’è che nello stesso periodo, anche a Monterey si tiene una celebrazione molto simile a quella di Marettimo.
Ma la processione egadina, davvero molto bella e suggestiva, attira anche molti turisti, che restano affascinati dai vari momenti di questa ricorrenza. Fatta di riti antichissimi che si tramandano da padre in figlio. Caratterizzando un ponte generazionale che sembra resistere anche ai nuovi stili di vita della modernità e che accomuna il senso dell’appartenenza di tutta un’intera comunità.
I festeggiamenti si aprono con la tradizionale “Dimuniara”, i tre fuochi, rappresentanti la Sacra Famiglia, fatti ardere poco fuori il paese, al grido di “Viva patriarca San Giuseppe…viva!”.
Le cerimonie entrano nel vivo l’indomani: dopo la santa messa, in piazza si tiene il rito dell’Alloggiate e dell’Ammitata ai Santi.
Prima le “tuppuliate” nel portone della piccola chiesa di Santa Maria delle Grazie per ricordare la negata accoglienza alla sacra famiglia.
Ma il portone si apre a suon di banda e con lo scampanio delle campane alla terza “tuppuliata”.
In questo momento si aprono ufficialmente i festeggiamenti, con i tre personaggi che rappresentano i “Santi”, ovvero Gesù, Giuseppe e Maria, che vengono fatti salire sul palco addobbato di timo per essere imboccati con le portate preparate dalle donne dell’isola, mentre in piazza si tiene la “Divuzione”, ovvero la distribuzione di dolci tipici della festa di San Giuseppe, a partire dal pignolo, la cubaida e la “petramennula”.
Ma anche graffe, cannoli e tante altre delizie a base di ricotta o di crema pasticcera. Dopo l’Ammitata ai Santi e la “Divuzione”, parte il corteo con i personaggi della Sacra famiglia accompagnati dai fedeli prima verso lo scalo vecchio e poi allo scalo nuovo, i due porti dell’isola.
Dopo il tradizionale e abbandonante pranzo delle famiglie marettimare, di pomeriggio esce in processione la stupenda immagine di San Giuseppe con in braccio Gesù Bambino, seguito dall’icona di San Francesco di Paola, chiamato da pescatori e marittimi “Santu Patre”, protettore della gente di mare a cui i marettimari, per ovvi motivi, essendo per lo più pescatori o marittimi, sono particolarmente legati. Dopo avere percorso tutte le vie di Marettimo, accompagnati dai fedeli e dalle note della banda musicale, fermandosi davanti le abitazioni per permettere ai fedeli di lasciare le offerte in denaro sul “sirraculo”, le due immagini di San Giuseppe e San Francesco di Paola in serata fanno rientro nella piccola chiesa.
Durante la processione vengono distribuiti i tradizionali panuzzi di San Giuseppe: si dice che, in caso di bufera, se buttati in mare da un primogenito di una famiglia marettimara, recitando un Padre Nostro, il mare si calmi, con le onde che improvvisamente perdono la loro forza. Antichi riti ed usanze tramandati da padre in figlio, da sempre presenti nel codice genenito dei marettimari. Cresciuti a pane e remi con in tasca, sempre e comunque, l’immagine del loro Santo.
Mario Torrente