Tempo di Caponi, i pesci dei Re
Puntuale torna a San Vito lo Capo l'evento culturale gastronomico che lega il mare alla tradizione. "Tempu ri Capuna", tre giorni, dall'11 al 13 ottobre 2024, dedicati al pesce Capone (Lampuga) che fino a Natale sarà una risorsa economica per i pescatori e una leccornia per i buongustai. San Vito, al centro della migrazione stagionale di questo pesce, lo onora con una manifestazione che ne ripercorre i fasti ne esalta le qualità...
da "Corallari" di Ninni Ravazza, Magenes editorer
Autunno 2001, oggi niente immersioni, il corallo può attendere, lo scoglio sul quale ho lavorato questa settimana è stato ripulito e mi prendo una giornata di riposo, voglio seguire i miei amici pescatori nella pesca delle lampughe (Coryphaena hippurus) che qui chiamano caponi e si catturano in grandi quantità in questo periodo. Io so catturarli uno alla volta con la lenza a traina, sono curioso di vedere come fanno loro a portarne a terra centinaia di chili per volta.
L’alba ci coglie al largo del Capo San Vito, un sole rosso sangue proietta lunghe ombre sull’Oscar che a sette nodi corre verso ponente sul mare di piombo appena screziato da una brezza da scirocco e levante. Rosolino è al timone e non perde d’occhio l’ago della bussola che segna 290 gradi; Gaetano ed Enzo smaltiscono l’ultimo sonno sull’osterigio tiepido del motore, rumoroso surrogato del letto di casa. Abbiamo lasciato da mezz’ora il porto, tutto intorno a noi le luci verdi e rosse di altri pescherecci si stemperano con l’avanzare del giorno.
E’ un sabato di fine ottobre, siamo nel pieno della pesca dei caponi, navighiamo verso ponente dove i cannizzi calati un mese prima stanno ad aspettare i branchi di quei pesci d’argento e oro che si fermano sotto qualunque cosa faccia ombra. Abbiamo ancora sedici miglia da percorrere prima di incontrare i galleggianti traditori, Rosolino in piedi accanto al timone fissa l’orizzonte e non parla, c’è tempo per socchiudere gli occhi e abbandonarsi ai sogni …
… Siamo al largo delle coste di Thera, in pieno Mare Egeo, è il 1800 prima di Cristo: sulle barche dall’alta poppa e con la prua ricurva gli uomini scrutano le onde cercando qualcosa. Ad un tratto uno di loro grida, ecco i pesci che inseguivano, sono tanti, tutti nascosti sotto un tronco d’albero alla deriva, la vela viene ammainata e spinta dai remi la barca disegna un cerchio attorno al branco mentre due pescatori calano una rete senza fondo, poi la tirano a bordo e mille corpi guizzanti cadono sul ponte che sembra animarsi sotto i colpi delle loro code. La pesca è stata fruttuosa, si torna a casa. Il padrone è soddisfatto, con i pesci riempirà la dispensa e pagherà i marinai, il resto lo venderà al mercato. In omaggio agli Dei del mare un ignoto pittore è chiamato a disegnare sui muri della casa le barche e il pescatore che regge nelle due mani grappoli di pesci argentati: sono decine di caponi …
L’isola di Thera, centro importante della civiltà minoica, oggi si chiama Santorini e fa parte dell’arcipelago delle greche Cicladi; Akrotiri fu la città e il porto più importante dell’isola, distrutta nel 1628 prima di Cristo da una eruzione vulcanica. I resti ed i reperti venuti alla luce nel corso degli scavi archeologici hanno dimostrato l’esistenza di una civiltà colta e progredita. Nella cosiddetta “camera ovest” è stato ritrovato, fra gli altri, il notissimo affresco del “Pescatore” che tiene in mano le lampughe appena catturate. Gli studiosi ritengono che a Thera sia nata la leggenda di Atlantide, il continente inghiottito dal mare.
“Eccolo, a destra!”, il grido di Gaetano mi riporta al largo di San Vito. Siamo a 16 miglia da terra, il sole è alto, duecento metri davanti alla prua si dondola placido il primo cannizzo della serie, le lenze calate a poppa con i polipetti di plastica rossi e blu scortano la scia di Oscar.
Passiamo accanto ai rami di palma tenuti a galla dalle bottiglie vuote di detersivi e acqua distillata, il filo di plastica che tiene ancorata la trappola si perde nel blu profondo mille e duecento metri, la barca compie uno stretto giro attorno al cannizzo, a poppa Gaetano ed Enzo con le lenze in mano scuotono la testa, niente, non hanno sentito nemmeno una toccata, Rosolino impreca e dirige la prua verso l’altro galleggiante, ottocento metri più a nord.

Oscar ha appena iniziato a girare attorno alle palme quando Gaetano grida “Pigghiai!”, la lenza lunga 18 braccia si anima, all’estremità un lampo d’argento attraversa il mare, Enzo ritira immediatamente la sua lenza e intanto Gaetano si è spostato quasi sulla prua della barca tirando a sé il pesce che ora si dibatte a nemmeno dieci metri da Oscar. Rosolino sa che tutto il branco ignaro sta seguendo il compagno catturato, e ordina di calare il cianciolo pronto a poppa, la rete fila via veloce trascinata dalla barca che ora a tutta velocità corre lungo una circonferenza il cui raggio è costituito dalla lenza col pesce attaccato, fino a raccogliere dalla prua la boa che segnala l’inizio della rete. Sul mare calmo come l’olio i galleggianti rosso scuro disegnano un cerchio perfetto lungo duecento metri, sotto si scorgono le pareti che scendono per una ventina di metri, lì in mezzo ci dovrebbe essere il branco.
Il cianciolo viene fissato alla prua, ed a poppa si comincia a salpare la rete col verricello idraulico che fa il lavoro di tre uomini, inutile guardare a mare, se i pesci ci sono si vedranno solo all’ultimo; la rete sale piano piano e viene adagiata sul ponte in maniera da poterla calare nuovamente senza intoppi; ora il cerchio è strettissimo, anche l’estremità di prua viene portata a poppa, la grossa cima di nylon che cinge la rete dal basso viene passata al verricello e tirata a bordo, la parte inferiore del cianciolo si chiude, i pesci non hanno più scampo. Rosolino guarda fuori bordo, due o tre lampi a mezz’acqua lo rassicurano, “Ccà sunno …”. Il sacco viene afferrato da mani screpolate per il sale e il freddo, uno sforzo e via, i pesci sono a bordo, “Saranno sei cassette” dice il capitano. Mentre Oscar corre verso l’altro cannizzo Gaetano imposta i caponi nelle cassette di legno, otto per volta, da otto a nove chili di peso, poi mette tutto in un vecchio cassone frigorifero per i gelati pieno a metà di ghiaccio.
I pesci sono tutti uguali, pesano da 900 grammi a un chilo e duecento, non ce ne sono più piccoli, non ce ne sono più grandi. Ogni tanto capita di catturarne uno enorme, anche di venti chili, ma è solo un caso. Sono arrivati a frotte negli ultimi giorni di agosto, quando pesavano un paio di etti l’uno, anche allora tutti uguali, poi pian piano sono cresciuti e l’uomo gli ha preparato le trappole d’ombra; all’inizio di dicembre non correranno più dietro i polipetti di plastica, pesano ormai quasi due chili, ma scompariranno nel giro di una settimana. L’anno dopo si ripresenteranno all’appuntamento con le palme tenute a galla dalle bottiglie di plastica, e peseranno duecento grammi l’uno. Dove sono finiti gli adulti? Forse davvero danzano per il mare una sola estate …
Un cannizzo dietro l’altro, qualcuno pieno di pesci qualche altro deserto, un paio di cale a vuoto (“Coppola!” grida allora Rosolino) perché i caponi hanno fatto in tempo a fuggire prima che il cianciolo li rinchiudesse, a bordo ci sono appena ventotto cassette di pesce, troppo poche perché questi sono pesci di massa, per guadagnare ne devi prendere tanti.
Lo scirocco arriva quando Oscar è a 22 miglia da terra, meglio tornare. Le onde alte e corte colpiscono il mascone di prua e rendono difficile la navigazione, ma la barca è solida e il motore un orologio, a poppa al riparo della cabina Gaetano ed Enzo recuperano un po’ del sonno perduto la notte, il capitano alla radio parla con gli altri pescherecci che stanno tornando in porto, poi chiama la moglie e la rassicura “Fra tre ore sono a terra” …
Quando Oscar attracca è quasi buio, sul molo altri pescatori inveiscono contro il camion frigorifero che aspetta la flotta dei caponi: l’offerta è di trentatremila lire a cassetta, quattromila lire al chilo. “Farabutti, li regaliamo piuttosto!” gridano i marinai agitando in mano grappoli di pesci d’oro e d’argento.
Il sole tramonta dietro la Piana di San Vito, il sorriso del Pescatore di Thera è solo un miraggio mentre gli uomini stanchi e incrostati di sale minacciano di rigettare a mare tutti i pesci della giornata.
Il ciclo vitale dei caponi rimane un mistero: ogni anno alla fine di agosto compaiono al largo delle coste esemplari giovanili in branchi di centinaia di individui che pesano 150/200 grammi l’uno, e la crescita prosegue regolare per tre mesi; a fine settembre peseranno 5/600 grammi, a fine ottobre un chilo, a fine novembre un chilo e mezzo/due. Poi scompariranno per otto mesi, e nel successivo agosto si troveranno branchi di pescetti da 150 grammi. Solo eccezionalmente verranno catturati esemplari che pesano oltre tre chili. Anche i caponi del Pescatore di Thera sono tutti uguali, peseranno un chilo e mezzo al massimo. Che fine fanno gli esemplari adulti che l’anno prima all’inizio di dicembre pesavano due chili?